Muoversi 2 2022
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LA RICERCA DI COLPEVOLI NON RISOLVE IL PROBLEMA DEL “CARO ENERGIA”

LA RICERCA DI COLPEVOLI NON RISOLVE

IL PROBLEMA DEL “CARO ENERGIA”

di Enrico Morando

Enrico Morando

Economista, già viceministro dell'Economia

In questi giorni di guerra mi è tornato alla mente uno slogan molto usato dal movimento pacifista nel 2003, ai tempi della guerra dell’Iraq: “no blood for oil“. Uno slogan senza senso, quasi quanto la guerra cui veniva applicato: all’esito del conflitto, furono soprattutto compagnie francesi e cinesi -quelle di due Paesi che si erano opposti alla guerra – ad acquistare il petrolio iracheno, mentre gli USA consolidavano il loro ruolo di paesi esportatori: la scelta di invadere l’Iraq fu un gravissimo errore, ma non fu dettata dall’obiettivo di “impadronirsi“ del petrolio iracheno.

Perché allora l’opinione pubblica, in Occidente, si convinse così facilmente del contrario? Perché era una risposta semplice, fondata su elementi di fatto indiscutibili, combinati in un rapporto di causalità plausibile – in Iraq c’è il petrolio, gli USA lo vogliono, gli USA fanno la guerra all’Iraq per prenderselo – e capace di identificare con immediatezza causa e colpevole dell’evento avverso.

Di fronte ad un evento che consideriamo negativamente, tendiamo a precipitare rapidamente dall’analisi delle cause - spesso plurime e di difficile rimozione, anche quando correttamente identificate - all’individuazione di un colpevole, sulla base di un processo sommario

Quest’ultimo è il passaggio cruciale del processo: di fronte ad un evento che consideriamo negativamente, tendiamo a precipitare rapidamente dall’analisi delle cause – spesso plurime e di difficile rimozione, anche quando correttamente identificate – all’individuazione di un colpevole, sulla base di un processo sommario.

Così, si parva licet…, quando vediamo il prezzo del gasolio con cui alimentiamo la nostra automobile salire in pochi mesi oltre i due euro al litro, tendiamo a farla semplice: sarà anche vero che l’inflazione si sta risvegliandosi dopo una lunga fase nella quale abbiamo pensato di doverci guardare dal pericolo opposto (la deflazione); sì, ci sarà – anche prima dell’invasione dell’Ucraina – l’effetto dell’instabilità e dell’incertezza connesse al riproporsi della guerra fredda, con nuovi e vecchi protagonisti, che diventa presto guerra commerciale calda; ma la parte del leone – nel determinare la vertiginosa ascesa del prezzo di benzina, gasolio, gas e connessi – la “deve“ aver fatta certamente la speculazione. Quindi, cerchiamo gli speculatori, mettiamoli nelle condizioni di non nuocere, e il prezzo tornerà basso come prima. Se abbiamo un benzinaio di fiducia, nostro amico da sempre, lo lasciamo fuori dalla categoria degli speculatori. Ma, sopra il benzinaio, non si fanno sconti: tutti potenziali colpevoli.

Naturalmente, è vero che quando il prezzo sale così repentinamente, ci sono soggetti che realizzano guadagni importanti, inattesi e in molti casi non dovuti a specifiche capacità imprenditoriali. Il primo, tra questi soggetti, è lo Stato: dato il peso del fisco tra i fattori determinanti del prezzo – e date le caratteristiche del prelievo, cioè l’aliquota IVA che agisce sulla somma tra accisa e prezzo industriale – il gettito sale man mano che quest’ultimo aumenta, ed innalza automaticamente le entrate del bilancio pubblico (il sogno di tutti i governi: non ci si prende la responsabilità di alzare le tasse, ma le entrate aumentano da sole).

Di qui a ritenere che lo Stato sia uno degli “speculatori“ all’origine dell’aumento di prezzo, il passo è breve. Ma è un passo falso, almeno nel senso che non ci conduce alle cause dell’aumento di prezzo, ma ad uno dei suoi effetti. Tant’è che lo Stato può intervenire per far cessare il suo concorso, come è stato fatto in Italia con la riduzione delle accise e il richiamo in vigore di una norma del 2007. Il prezzo alla pompa è calato, per la soddisfazione di tutti noi automobilisti. Si tratta però di un intervento  insostenibile nel medio periodo, che si mette in aperto contrasto con i dettami fondamentali di una politica fiscale che si proponga di ridurre l’impronta carbonica della nostra economia e della società nel suo complesso: dopo tante parole sulla necessità di ridurre le agevolazioni fiscali nocive all’ambiente, la decisione di tagliare il prelievo sulla benzina e il gasolio da autotrazione, per quanto necessaria, si muove in direzione opposta.

Questo intervento di emergenza è stato giustamente sollecitato da molti e apprezzato da tutti. È un vero peccato che sia le sollecitazioni ad agire, sia il sostegno all’azione siano stati molto più flebili, o non ci siano stati affatto, quando i governi avrebbero dovuto (e potuto) fare di più e meglio non per mitigare gli effetti economici e sociali negativi, ma per rimuovere le cause del cattivo funzionamento dei mercati (e, dunque, dell’aumento dei prezzi).

Un esempio basterà: fare a meno del gas russo – e intanto ridurne drasticamente l’importazione – è assai più difficile che fare altrettanto per il petrolio, ma non è impossibile: ci vogliono gasdotti che non vengano dalla Russia. Per costruirli o rafforzarne le capacità ci vuole tempo, ma se si comincia subito… E poi ci vogliono i rigassificatori. In Italia ne abbiamo costruiti pochissimi. Ma la Spagna ne ha costruiti molti. Potremmo usare i loro per farvi attraccare le navi piene di gas liquefatto, e portare il gas in Italia tramite tubi. Tubi che ci sono, in Spagna, in Francia, in Italia… Mancano però le connessioni transfrontaliere: i Governi di ogni nazione hanno pensato che avrebbero potuto danneggiare il rispettivo “campione nazionale“, portando il gas di altri a fargli concorrenza in casa. Non si tratta di “scienza del poi”: sull’urgenza di costruire una rete europea del gas si è combattuta negli anni scorsi una battaglia analoga (e contemporanea) a quella che in Italia ha portato solo nel 2012, col Governo Monti, alla separazione proprietaria della rete del gas dal “campione nazionale”. La Germania di Schroeder prima e della Merkel poi porta certamente la responsabilità maggiore di questo tragico ritardo. Ma i governi di Spagna, Francia e Italia sono stati ben felici di alimentare le rendite (e i relativi dividendi, che affluivano in quota parte nel bilancio pubblico) del loro campione nazionale.

Anche così si arriva a dei “colpevoli“? Certamente. Ma con l’imputazione fondata sulle robuste basi delle “cause“, così da indirizzare la ricerca delle soluzioni alla rimozione di queste ultime.

Ogni ulteriore ritardo nel dotare l’Unione di una politica fiscale unitaria, coerente con la politica monetaria della BCE (che non potrà mantenere a lungo il suo carattere ultra espansivo), potrebbe impedire alle nostre economie di atterrare con gradualità nel nuovo contesto di inflazione elevata

Una regola che vale anche per la definizione delle politiche che possono condurci a scongiurare il rischio, ormai incombente, del ritorno alla stagflazione (inflazione elevata in un contesto di bassa o nulla crescita). Secondo il Governatore Ignazio Visco, oltre la metà del rialzo dell’inflazione iniziato nella seconda metà del 2021, nell’area dell’euro, è dovuta ai maggiori costi dell’energia, mentre “la pressione sui prezzi al consumo dovuta alla ripresa dell’attività produttiva è stata finora modesta“. La tragedia Ucraina e le sue conseguenze di medio-lungo periodo aggraveranno queste tendenze, anche quando i prezzi dell’energia avranno abbandonato i picchi di questi ultimi mesi: il contesto di assente o bassissima inflazione a cui ci siamo abituati sarà presto un ricordo.

Ogni ulteriore ritardo nel dotare l’Unione di una politica fiscale unitaria, coerente con la politica monetaria della BCE (che non potrà mantenere a lungo il suo carattere ultra espansivo), potrebbe impedire alle nostre economie di atterrare con gradualità nel nuovo contesto di inflazione elevata. Determinando sofferenze sociali e difficoltà economiche che forse possiamo ancora evitare. Gioverà ricordare che, nei decenni che ci stanno alle spalle, sono stati veramente pochi i casi in cui si è riusciti a far calare l’inflazione senza provocare un forte rallentamento dell’economia: la politica monetaria, senza la politica fiscale, ha dei limiti di efficacia che non possono essere ignorati. E che (forse) sono già stati raggiunti.